SUL FILM 11 SETTEMBRE 1683
Impressioni a caldo sul kolossal che nella stampa è stato preannunciato per tanti anni come film “su Padre Marco”. Sarebbero molte, e certamente meriterà rivedere il lavoro di Renzo Martinelli, nelle sale dall’11 aprile scorso, e ponderarlo. Una cosa balza agli occhi di chi l’ha guardato con la lente della storia e ricorda un po’ il dipanarsi degli eventi ricollegabili alla liberazione di Vienna, la quale – non dimentichiamolo – fu insperabilmente ottenuta, dopo i due mesi dell’assedio degli Ottomani, in data 12 settembre 1683: che il ruolo strategico giocato dal cappuccino in quell’epico evento non è stato colto del tutto dalla pellicola nella sua portata. Ruolo di religioso, obbediente al papa che lo catapulta come suo legato, d’improvviso e forse anche tardi (partì da Padova alla metà di agosto), non sulle mura di Vienna assediata ma all’imperatore rifugiato a Linz (1° settembre). Il cappuccino comprese subito che il sovrano andava tenuto fuori se si voleva raggiungere un accordo fra i principi discordanti e rivali di una precaria alleanza, risposta di getto all’appello del pontefice a soccorrere una città tanto strategica per la geografia dell’Europa e anche della fede cristiana. Capolavoro diplomatico fu quello del beato, che nel film appare invece seduto al “consiglio di guerra” proprio accanto a Leopoldo: là dove questi avrebbe voluto, ma non fu; come si vede il frate fra i calcinacci delle mura della città attaccate dalle mine già dal luglio: dove e quando lui non fu proprio!
Certo, tutto ciò poteva essere messo in conto in un’opera le cui “ragioni” – e un film ne può avere sicuramente molte e diverse – non debbono per forza ricalcare ogni dato incontrovertibile della storia, cioè del vero, e sconfinano spesso nel verosimile e anche nel fantastico, capaci di catalizzare l’attenzione dello spettatore: appartiene a quest’ultimo genere il suggestivo incontro pre-battaglia Marco-Kara Mustafà, e così pure il riferimento che il capo ottomano fa a un precedente e quanto mai improbabile salvataggio da parte sua della vita del cappuccino.
Il titolo ci avverte peraltro che trama del lavoro non è la vita, di ritiro e ascesi, di penitenza, di predicazione e di miracoli, di un grande apostolo del vangelo della misericordia divina, e neppure quella di viaggi e relativi incontri con nobili e folle di mezza Europa da convertire a Dio o ai quali mostrare Dio (che non si tramuti allora tale titolo in quello, che sarebbe ancora meno vero – ma è stato da taluni suggerito per il futuro televisivo del film – di “Marco d’Aviano”!). La vita santa e missione del nostro frate è altra cosa, non solo complementare a ciò che Padre Marco fece a Vienna anzitutto pregando e operando con intenti di pace – e poi a Buda e a Belgrado con altrettanta forza interiore e di persuasione di popoli ed eserciti (e con amore evangelico verso tutti, non solo cristiani) – ma primaria ed essenziale, anche nella proposta della sua figura oggi: proposta che la beatificazione di dieci anni fa ha avvalorato con l’ufficialità di un pronunciamento della Chiesa e che il cammino “senza confini” verso la canonizzazione promossa dai frati cappuccini è chiamato a ribadire e rafforzare. In fedeltà alla storia!