L’ATTUALITA’ DEL BEATO MARCO D’AVIANO

IL BEATO MARCO D’AVIANO ALL’ARCA DEL SANTO

Devozione sicura a Sant’Antonio di Padova condivisa dal cappuccino con i grandi che difesero l’Europa del suo travagliato tempo

La calamità che per noi è stata (è) la pandemia, per il Beato Marco d’Aviano (1631-1699) fu la tragedia dell’invasione ottomana dell’Europa con i relativi pericoli per la sussistenza del continente e anche per il suo volto di società e il suo modo di credere. A differenza forse della maggior parte di noi, il cappuccino aveva però una riserva di fede in Dio inesauribile e che sapeva affidarsi. Scopriamo così, in questi giorni di “tredicina” in onore di colui che è detto il Santo, quanto Padre Marco abbia supplicato Antonio di Padova per le sorti dell’umanità e le sue stesse di chiamato (dal papa) a cooperare alla liberazione da un flagello, insuperabile con mere forze umane, che stava spargendo anche allora morte senza scampo.

Prima di partire per Vienna assediata (restava al pontefice una sola “soluzione” del caso: l’invio immediato fra i divisi capi della coalizione cristiana di un diplomatico santo e soprattutto taumaturgo), Padre Marco sostò – come scrive all’imperatore d’Austria Leopoldo I da Padova il 21 maggio 1683 – “avanti l’arca del gloriosissimo sant’Antonio et ivi apresso quel santo miracoloso raccomanderò e farò raccomandare un interesse tanto importante a tutta la christianità”. Sempre, in seguito, quando le forze europee dovettero combattere non solo contro il comune nemico ma avverso a molteplici difficoltà, egli irrobustì le volontà fiaccate di importanti protagonisti dello scacchiere internazionale scrivendo di avere pregato il Santo per loro e per gli esiti attesi. Nondimeno gli interlocutori, sapendolo spesso a Padova di convento (il luogo, non lontano dalla basilica, è quello in cui poi visse l’altro attuale santo dei padovani e non solo: il cappuccino, gran devoto di Padre Marco, Leopoldo da Castelnuovo), si affrettavano a chiedergli, oltre che l’agognata benedizione, di andare per loro alla tomba di Sant’Antonio. E Padre Marco mai negò questo “favore”, cosicché la sua deve essere stata una spola piuttosto frequente. Essa è ben documentata nell’epistolario del Nostro. Alcuni esempi fra i tantissimi: l’imperatrice consorte Eleonora Maddalena Teresa lo ringrazia “assai della novena ch’à fatto per noi da sant’Antonio” (maggio 1681 da Sopron, Ungheria) e l’arcivescovo di Colonia Massimiliano Enrico di Baviera “sommamente” delle preghiere per lui all’arca (26 ottobre 1681); il potentissimo duca di Neuburg Filippo Guglielmo gli scrive: “[S]congiuro a adgiungere alle sue orationi, santissimi sacriffitii et beneditioni, anco [la] intercessione di quel grande santo, ut Deus multiplicatis intercessoribus largiri dignetur nobis gratiam et misericordiam” (18 novembre 1681 da Monheim, Germania); ed Eleonora Maria d’Austria, sorella di Leopoldo e, dopo vedova del re di Polonia, consorte del duca di Lorena (cioè del capo delle forze imperiali che accorsero all’assedio di Vienna nel settembre 1683): “Ringratio vostra paternità per le Messe che vol celebrare apres[s]o il Santo, ché ades[s]o ab[b]iamo di bisognio per tante cative nove che sono da tutte le parti” (19 ottobre 1681 da Innsbruck).

Difficilissimo per gli equilibri politico-dinastici dell’Europa del tempo il contesto nel quale Padre Marco si affrettò a comunicare una sua visita al Santo al confratello cappuccino Gabriele da Chiusa, confessore della regina di Spagna Marianna, figlia del duca di Neuburg, che inutilmente cercava di dare un erede al marito re Carlo II: “L’altro giorno mi son portato nella chiesa di sant’Antonio et mentre stavo ascoltando la Messa avanti l’archa del glorioso santo, nel mentre ch’il sacerdote levava l’ostia santa, raccomandai al santo medesimo miracoloso la maestà della regina, recitando il responsorio del medesimo santo et la Gloria virginum, pregando Iddio di tutto il mio core. Dio vogli, per l’interces[s]ione del santo, [esaudire] le preci della maestà della regina et di tante anime divote che supplicano per la sudeta gratia, di concedere a sua maestà frutto di beneditione per consolatione di tutta la christianità. Che, Dio ci guardi, mancasse quest’augustissima casa senza succesione, povera la christianità: sarebbe tutta in ruina” (da Padova, 14 settembre 1693). Padre Marco dà qui dimostrazione pure di una consuetudine con le modalità (e formule) con le quali tantissimi si rivolgevano a Sant’Antonio nel suo e poi nei tempi successivi, fino a noi. Una “confidenza” col Santo che non manca nelle lettere che riceveva: “Adesso sto per cominciare gli 9 martedì in honore di sant’Antonio”, gli scrive l’8 novembre 1687 il conte palatino Ludovico Antonio, anch’egli figlio del duca di Neuburg e futuro vescovo; il quale aggiunge al frate una richiesta devota a lui: “Vostra reverenza mi farebbe gratia particolar di darmi sempre in quel giorno la sua santa benedittione”.   

Il Beato Marco d’Aviano ebbe in Sant’Antonio un sicuro alleato, e lo ebbe in comune specie con i membri di Casa d’Austria, in primis con l’imperatore. Il 1° dicembre 1685 scrive a Leopoldo I: “In Padova ho l’occasione di qualche volta portarmi al sepolcro del gloriosissimo sant’Antonio di Padova per raccomandare vostra maestà cesarea et tutti dell’augustissima sua casa”; ricevendone per risposta: “A Padova potrà ancora implorarmi il patrocinio di quel gran santo” (23 dicembre 1685 da Vienna). Il riferimento a lui e l’invocazione della sua protezione ricorrono in continuazione nel carteggio che ci è rimasto fra uno dei più potenti della terra di allora e l’umile, ma potente anch’egli (taumaturgo come Antonio), suo consigliere: accompagnati dall’infusione da parte del frate della certezza nell’aiuto soprannaturale sul “povero” monarca, perché spesso questi si mostrava sopraffatto dagli avvenimenti negativi. E va detto che nei successi, anche insperabili, delle armate cristiane (a quella di Vienna seguirono le vittorie di Buda 1686, Belgrado 1688, Zenta 1697, che aprirono alla pace di Karlowitz del 1699 con i Turchi) l’imperatore e il cappuccino non mancarono mai di riconoscenza a Dio e spesso proprio a Sant’Antonio.

Come questi, Padre Marco aveva abbracciato la vocazione francescana (sono nel 2020 ottocento anni da quando l’agostiniano Fernando divenne frate Antonio) e quella a condividere concretamente bisogni e sete di giustizia dei poveri intesi in senso materiale e spirituale. Un’ulteriore vocazione li accomunò: attestata dagli stessi padovani nel Quaresimale del 1697 predicato dal cappuccino nella cattedrale della città per forte volontà del vescovo San Gregorio Barbarigo, contenti “per havere a sé concesso un secondo Taumaturgo, rinnovatore del primo Antonio nella sapienza e portenti” (dalla “Vita” stesa nel 1709 da Cosmo da Castelfranco, libro II, cap. XXII), capace cioè come il Santo di ottenere grazie e favori da Dio Padre.

13 giugno 2020                                                                                       Walter Arzaretti